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Responsabilità della struttura sanitaria per infezione da "COVID-19"

LA RESPONSABILITÀ DELLA STRUTTURA SANITARIA PER L’INFEZIONE DA "COVID-19" CONTRATTA DAL PAZIENTE DURANTE IL RICOVERO.

IN PARTICOLARE, IL CASO DEL DECESSO DEL PAZIENTE: LA RISARCIBILITÀ DEL DANNO ALLA SALUTE IN FAVORE DEGLI EREDI E LA RISARCIBILITÀ DEL DANNO SUBITO DAI PARENTI.

1. Premessa.

La “Sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus-2 (SARS-CoV-2)” - in lingua inglese COronaVIrus Disease 19 e in breve “COVID-19”, come definito dall’”International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV)” e dal Ministero della Salute - ha condotto al decesso migliaia di degenti.

E’ incontrovertibile che, nel caso in cui il paziente si trovasse ricoverato da tempo, l’infezione da “COVID-19” non possa che essere stata contratta presso la struttura sanitaria, a causa di un contagio proveniente dal personale sanitario o da altri degenti, essendo stato vietato ogni rapporto con l’esterno ed anche coi familiari. [1]

2. Le infezioni nosocomiali.

In generale, l’argomento che ci occupa riguarda le infezioni nosocomiali, che sono quelle infezioni virali, batteriche o fungine che si contraggono in qualsiasi struttura sanitaria, anche in una casa di riposo per anziani, in un ambulatorio od altro, non presenti nel paziente al momento del ricovero, ma che si manifestano durante la degenza o subito dopo le dimissioni.

Inoltre, vengono ritenute infezioni nosocomiali non solo quelle contratte dai pazienti, sia quelli già ricoverati nelle strutture sanitarie, sia quelli che vi accedono per ricevere assistenza, ma anche quelle contratte dal personale sanitario o dai visitatori.

La trasmissione dell’infezione può avvenire in modo diretto, attraverso il contatto fisico tra l’operatore sanitario ed il paziente (ad esempio, mediante la palpazione addominale da parte di un soggetto infetto) oppure in modo indiretto (ad esempio, mediante un endoscopio precedentemente utilizzato su una persona infetta); ancora, la trasmissione dell’infezione può avvenire per via aerea, quando il soggetto infetto ed il paziente sono molto vicini, mediante le goccioline – droplet - che vengono emesse parlando, starnutendo, tossendo, etc.

Tuttavia, è evidente che il rischio di trasmissione dell’infezione nosocomiale, che è intimamente connesso all’attività di assistenza sanitaria, può e deve essere minimizzato con l’adozione di misure preventive parametrate ad un’attenta valutazione di tale rischio. 

3. La responsabilità della struttura sanitaria.

La struttura sanitaria può essere chiamata a rispondere di quanto occorso al paziente tanto direttamente, per la sua carente attività ed a prescindere da inadempienze riferibili alla condotta del singolo operatore sanitario, quanto indirettamente, per le azioni del personale sanitario di cui essa si avvale.

La responsabilità della struttura sanitaria rientra nell’ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero, comporta la conclusione di un contratto atipico, definito comunemente contratto di spedalità.

Il contratto di spedalità prevede una prestazione complessa, che non si esaurisce nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche), ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione del personale sanitario – medico, paramedico, infermieristico ed ausiliario - , nonché dei medicinali e di tutte le attrezzature tecniche necessarie ivi comprese quelle cosiddette alberghiere. [2]

3.1. In particolare, la responsabilità diretta.

La responsabilità diretta della struttura sanitaria è generalmente ricondotta alla circostanza che gli enti ospedalieri, sia pubblici che privati, sono aziende a tutti gli effetti, strutturate e gestite secondo le regole proprie di quest’ultime, e soggette quindi al rischio d’impresa.

Tra gli obblighi che ricadono sulla struttura sanitaria, accessori rispetto alla prestazione principale di assistenza medica, rientra quello di protezione del paziente dalla contrazione di infezioni nosocomiali, non presenti al momento dell’ingresso, ma causalmente riferibili, per agente eziologico e modalità di contagio, al ricovero medesimo.

Infatti, sussistono norme tese a regolamentare l’aspetto dei requisiti strutturali previsti in ambito sanitario e specifiche linee guida concernenti le misure necessarie al fine di prevenire le infezioni nosocomiali, esistendo uno specifico obbligo della struttura sanitaria di attenervisi e di svolgere adeguati controlli del rispetto delle norme igieniche, mediante la verifica delle condizioni del paziente e l’adozione di adeguate misure profilattiche.

Il rispetto dei richiamati principi assume particolare rilievo laddove si consideri che nelle strutture sanitarie sono presenti, tra gli altri, pazienti anziani e con patologie pregresse, con ridottissimi poteri di difesa, che sono esposti non solo ad un più elevato rischio infettivo, ma che sono pure il primo bersaglio di microrganismi patogeni, proprio a causa delle loro precarie condizioni di salute. [3]

3.2. In particolare, la responsabilità indiretta.

Abbiamo sottolineato che la responsabilità della struttura sanitaria può essere anche di tipo indiretto per le azioni del personale di cui si avvale.

Più specificamente, si definisce attività medico-chirurgica d’équipe, quella contraddistinta dalla partecipazione e collaborazione di più operatori sanitari, i quali interagiscono per il raggiungimento di un obiettivo comune.

Nell’ambito di questa responsabilità, assume rilievo non solo il caso di contemporaneo intervento di più medici in favore del paziente, ma anche quello in cui all’attività professionale partecipano, con tempi e modalità diverse, più operatori sanitari (medici, paramedici, infermieri ed ausiliari) ciascuno dei quali è titolare di una specifica competenza.

La prestazione professionale del medico deve essere improntata al dovere di diligenza di cui all’art. 1176, II comma, c.c., nel rispetto di tutte le regole e accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica volta a garantire e tutelare la salute del paziente.

Anche l’infermiere è tenuto all’osservanza del menzionato dovere di diligenza, esercitando attività sanitarie autonome rispetto a quelle mediche.

3.3. Conclusioni.

Tutto quanto sopra esposto, dunque, evidenzia la responsabilità della struttura sanitaria per l’infezione da “COVID-19” contratta dal paziente durante il ricovero.

Infatti, da un lato, è acclarato che la struttura sanitaria rappresenta l’unico possibile luogo di infezione e, d’altro lato, che essa viene meno all’obbligo di protezione del degente, obbligo che deve essere scrupolosamente osservato con particolare riguardo verso l’infezione da “COVID-19”, ancor più nei confronti di pazienti anziani con pregresse patologie e con ridottissimi poteri di difesa.

Tale responsabilità può essere diretta, derivando dalla mancata protezione del degente dalla contrazione dell’infezione da “COVID-19”, oppure indiretta, derivando da comportamenti del personale sanitario.

4. Nesso di causalità.

Dopo aver rilevato la responsabilità della struttura sanitaria, che provoca una lesione del diritto alla salute del paziente, occorre verificare la sussistenza del nesso di causalità - cioè della relazione - tra la condotta degli operatori sanitari e la predetta lesione.

Nell’ambito della responsabilità in argomento vige pacificamente la cosiddetta regola del “più probabile che non”; in altri termini, è sufficiente provare, secondo un parametro di alta credibilità logica e razionale, che l’ipotesi più probabile sia da rinvenirsi nella condotta degli operatori sanitari. [4]  

Più specificamente, occorre provare il contratto (ovvero il contatto sociale, laddove non sussista un contratto) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, non la colpa né la gravità di essa.

Pertanto, poiché, come detto, è acclarato che il paziente abbia contratto l’infezione da “COVID-19” presso la struttura sanitaria, è altrettanto acclarato, anche in forza del richiamato criterio del “più probabile che non”, l’esistenza di un palese nesso di causalità tra quanto occorso al degente e la lesione del suo diritto alla salute.

5. Il danno risarcibile.

In caso di danno alla salute, conseguito a responsabilità diretta e/o indiretta della struttura sanitaria, il danneggiato ha diritto di ottenere il risarcimento di tutti i pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all’illecito, in quanto subisce una menomazione alla sua integrità psicofisica, che ha una rilevanza non solo economica, ma anche spirituale, sociale, culturale ed estetica.

Nella fattispecie caratterizzata dalla morte del paziente come conseguenza dell’infezione da “COVID-19”, contratta durante il ricovero, gli eredi dello stesso hanno diritto di adire l’Autorità Giudiziaria, onde ottenere il risarcimento dei danni patiti dal loro congiunto, acquisiti al suo patrimonio e perciò suscettibili di trasmissione ereditaria.

Inoltre, i parenti hanno diritto di adire l’Autorità Giudiziaria per ottenere il risarcimento dei danni da loro subiti direttamente per la perdita del rapporto parentale.

5.1. La risarcibilità del danno alla salute con esito letale in favore degli eredi.

Qualora intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra la contrazione dell’infezione da “COVID-19” durante il ricovero del paziente e la morte causata da tale infezione, è configurabile, con riferimento al detto periodo intermedio di permanenza in vita, un danno alla salute, da liquidarsi in favore degli eredi, ai quali esso è senz’altro trasmissibile ai sensi dell’art. 456 c.c. [5]

La misura del risarcimento di tale danno, in assenza di criteri legali per la sua liquidazione, è imprescindibilmente rimessa alla valutazione equitativa del Giudice. 

5.2. La risarcibilità del danno subito dai parenti.

I parenti del paziente deceduto, e pure coloro che hanno avuto un rapporto significativo con lo stesso, hanno la possibilità di agire per ottenere il risarcimento dei danni che essi abbiano subito direttamente, in conseguenza della responsabilità della struttura sanitaria nella contrazione dell’infezione da “COVID-19” con conseguente decesso del paziente.

Infatti, è fuor di dubbio come la morte del degente produca nei detti soggetti un totale sconvolgimento delle proprie abitudini quotidiane e relazionali, tanto maggiore quanto è più stretto il rapporto parentale o affettivo con la vittima.

Anche la quantificazione di tale danno deve essere effettuata dal Giudice sulla base di una valutazione equitativa.


Avv. Nicola Buffoli

[1] Ricordiamo che il Governo, con delibera del 31.1.2020, dichiarò lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” e che il Ministero della Salute, con Circolari del gennaio e del febbraio 2020, allertò le strutture sanitarie circa la pericolosità del “nuovo coronavirus”.

I primi due casi di “COVID-19” in Italia riguardarono, in effetti, una coppia di turisti cinesi, ricoverati in isolamento il 29.1.2020 presso l’”Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani”, di Roma, mentre il primo caso di trasmissione secondaria si verificò a Codogno (LO), con accertamento della positività al “COVID-19” del 20.2.2020, ed a breve distanza di tempo si registrarono altri focolai infettivi in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Marche.

[2] Sul punto, Giurisprudenza e Dottrina sono concordi, affermando che “La natura complessa del rapporto tra paziente e struttura sanitaria ha trovato più ampia conferma con la fondamentale sentenza della Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite 11 gennaio 2008, n. 577, secondo la quale la responsabilità dell’ente ospedaliero ha una duplice natura contrattuale: in relazione a proprie inadempienze (relative alle obbligazioni c.d. accessorie del contratto di spedalità, che includono quelle di somministrazione di medicine, di organizzazione del personale medico e ausiliario, di disponibilità delle attrezzature per la cura, di sorveglianza e controllo dei pazienti, di asepsi degli ambienti, nonché obbligazioni di carattere alberghiero, vitto e alloggio), ad esse applicando le regole ordinarie sull’inadempimento stabilite dall’art. 1218 c.c.; in relazione a inadempienze del personale medico e paramedico al suo interno (relative alle obbligazioni principali derivanti dal contratto di spedalità, ovvero quelle di diagnosi e di cura, ma anche di acquisizione del consenso informato), trovando in tal caso applicazione la regola posta dall’art. 1228 c.c., secondo la quale il debitore che, nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro” (così P. Russo – M. Berni, “I nuovi danni da responsabilità medica”, pag. 168; ved. anche Cass. 30.9.2015, n. 19541; Cass. 3.2.2012, n. 1620; Cass. 13.4.2007, n. 8826; Cass. 14.6.2007, n. 13953; Cass. 28.5.2004, n. 10297).

[3] Numerose sono le sentenze della Suprema Corte che ravvisano una responsabilità diretta della struttura sanitaria per la violazione dell’obbligo di protezione di cui sopra; infatti, “l’ente ospedaliero è normalmente responsabile per le c.d. infezioni nosocomiali, dovute cioè a microbi presenti nei locali della struttura, come ad esempio nel caso di un’infezione agli occhi contratta in sala operatoria da un paziente sottoposto a intervento di cataratta (v. Cass. 6 marzo 1971, n. 606) … oppure di emorragia cerebrale provocata, a sua volta, da una sepsi (Cass. 1 dicembre 2010, n. 24401)” (così M. De Luca, “La nuova responsabilità del medico”, pag. 140).

[4] Infatti, la Giurisprudenza è unanime; ved., tra le tante, Cass. 29.11.2012, n. 21245; Cass. 17.7.2012, n. 12217; Cass. 18.6.2012, n. 9927; Cass. 5.5.2009, n. 10285; Cass. Sez. Un. 11.1.2008, n. 576; Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 26.6.2007, n. 14759.

[5] La Giurisprudenza, su tale punto, è costante; ved., tra le tante, Cass. 11.11.2019, n. 28989; Cass. 14.2.2007, n. 3260; Cass. 2.4.2001, n. 4783; Cass. 25.2.1997, n. 1704. Inoltre, si afferma che, poiché “nessun danno alla salute è più grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente le precede … in questo caso, il danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura del 100%, con l’ulteriore fattore “aggravante”, rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno biologico terminale è più intenso perché l’aggressione subita dalla salute dell’individuo incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già subita, atteso che anche questa capacità recuperatoria, o quanto meno stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera (cioè non “migliora”) né si stabilizza, ma degrada verso la morte … (in tal senso Cass. 23.6.2005, n. 3766)” (così Cass. 18.1.2011, n. 1072).